I Julie’s Haircut sono in giro da un bel po’ di tempo. Calcano palchi e autostrade dagli anni Novanta, percorrendo il loro cammino fatto di passione, sperimentazioni sonore e improvvisazione. Sono una band decisamente strutturata che ha saputo mettere in piedi un buon sistema per far fronte a tutte le necessità che il voler suonare comporta. Insomma, non si sta in piedi per 15 anni per caso.
Quella che segue è una schematica chiacchierata con Luca Giovanardi che ci illustra la loro organizzati. Ci possono essere milioni di altri modi per far funzionare la baracca, ma questo è il loro e per loro va bene. Magari ci sono spunti utili per tutti.
Nel panorama italiano Julie’s Haircut è una band molto longeva. Quali sono stati i vari step organizzativi che avete avuto?
LG – Agli inizi eravamo la band “secondaria” sia per me che per Nicola, che avevamo altri gruppi, messa su più per gioco che per altro con Laura, che fino a quel momento non aveva mai suonato. Poi le cose si sono evolute naturalmente: abbiamo iniziato a scrivere canzoni e a suonare nei locali della nostra zona, poi grazie a qualche recensione hanno cominciato a chiamarci anche da altre parti d’Italia, finché non siamo arrivati a pubblicare il primo disco e abbiamo iniziato a suscitare l’interesse delle agenzie di booking. Ma a livello organizzativo abbiamo sempre gestito tutto in casa, delegando alcuni aspetti man mano che le cose si facevano più professionali.
Dove/come/quanto provate?
LG – Siamo un gruppo che prova davvero pochissimo, magari facciamo delle full immersion quando c’è da preparare nuovo materiale per un tour o per uno spettacolo particolare. Personalmente questo non mi dispiace, perché resto convinto che le prove servano per imparare tecnicamente a eseguire i pezzi, ma una volta che li si sa suonare, meno si provano meglio è. Dopo, la differenza la fanno i concerti: è lì, davanti alla gente, che si impara davvero a mettere a fuoco i pezzi e li si perfeziona. Inoltre, tieni conto che a questo punto noi non scriviamo più le canzoni prima di entrare in studio, ma componiamo direttamente mentre registriamo, partendo spesso da improvvisazioni su cui poi lavoriamo. Quindi, non abbiamo nemmeno l’esigenza di provare il nuovo materiale prima di registrarlo. Ti basti sapere che in questo momento non abbiamo nemmeno una sala prove, ne stiamo cercando una. All’occorrenza, se è libero, proviamo al Bunker, lo studio di Andreino Rovacchi. Continua a leggere